Un altro giorno sotto il cielo di Blackpool

I fucking seagulls mi avevano svegliata ancora una volta.
Ho aperto gli occhi nella luce delle 9 di mattina. Il mio compagno di letto si era fregato di nuovo tutte le coperte, ma non importava, in quei giorni c'era un caldo inusuale per quella città, o almeno così sarebbe stato fino al giorno della nostra partenza.
Mi sono girata dall'altra parte e vicino a me c'era il miracolo della vicinanza. Ogni mattina me ne stavo in silenzio a guardarlo dormire nell'altro letto, la bocca leggermente aperta, le spalle nude, i segni della coperta sulla pelle abbronzata. Era a poco più di un metro da me, avrei potuto allungare la mano e sfiorargli una guancia, oppure svegliarlo e cominciare da subito ad influenzare la sua giornata con la mia presenza. Qualche giorno dopo ci saremmo ritrovati di nuovo a migliaia di chilometri di distanza, e le uniche cose rimaste da condividere sarebbero stati i ricordi e il cielo. Ma era un concetto troppo fuori portata per rendermene conto mentre ero sdraiata su quel letto e potevo perfino sentire il suo respiro.

Te ne accorgi solo dopo, quando quella persona diventa una foto con accanto un'icona verde sulla chat di facebook, quando senti la sua risata al telefono e la mente ti si riempie di immagini dei suoi occhi, quando ti accorgi che la sua vita non è più influenzata dalla tua presenza. E allora ti torna in mente quel momento in cui quella persona dormiva accanto a te, o beveva una birra al tuo stesso tavolo, o rideva alle tue battute, e butteresti via tutti i computer e le webcam e i telefoni e le chat del mondo, solo per un altro abbraccio.


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